
Dai caccia al paddock
Abbiamo ancora tutti negli occhi il bellissimo week che ha vissuto da Oliver Bearman che da oggi chiamerò Ted come il famosissimo anticonformista orsetto degli omonimi film.
Il ragazzo ha iniziato piazzando in pole la sua prema numero 3 e si preparava a tentare di vincere il suo primo Gp della stagione da aggiungere ai 4 vinti l’anno scorso. Mai si sarebbe aspettato di ricevere una telefonata dalla Ferrari che lo chiamava a prendere il posto di Sainz nel GP di F1. Il resto lo conoscete. Un week praticamente perfetto senza errori su una pista che ha l’errore nel suo DNA. Undicesimo in prova dietro di pochi millesimi a Hamilton, settimo in gara davanti allo stesso Hamilton e a Norris. Mica pizza e fichi direbbe qualcuno.
Ma è veramente un “miracolo sportivo “? Oppure ormai il livello di professionalità dei giovani piloti è arrivato a livelli tale da consentire questo tipo di exploit?
Per rispondere a questa domanda bisogna fare un flashback di parecchi anni e poi una considerazione tecnica.
Partiamo dal flashback
La storia dei piloti di auto ha origini remote. Fatta salva la prima gara tra carrozze non a cavalli o pseudo auto che risale al 1878, è dal 1910 che gli eventi automobilistici salgono alla ribalta del grande pubblico e prendono il nome di Grand Premio. Ma proprio mentre il fenomeno prende piede la prima guerra mondiale si affaccia prepotentemente e tragicamente sui cieli delle nazioni d”Europa. A quel tempo gli aviatori , i PILOTI d’ aereo erano gli eroi dei giovani. Aviatori del rango di Manfred con Richthifen , al secolo il barone rosso, Francesco Baracca o Roy Brown ( passato alla storia come “l’abbattitore” del barone rosso) erano delle vere e proprie star. Roba a livelli di Beatles o Rolling Stones. I ragazzi leggevano e sognavano le avventure di questi impavidi cavalieri del rischio. Una volta finita la guerra saranno altri i piloti, quelli dell' auto, a sostituire nell'immaginifico dei giovani europei gli eroi del cielo. L’osmosi tra i due mondi è apparsa talmente naturale che persino i simboli, e i soprannomi sono stati mutuati dal mondo dell'aeronautica. Il cavallino della Ferrari per esempio è gentile omaggio fatto dalla madre di Baracca a Enzo Ferrari. Il barone rosso è stato il soprannome di un altro tedesco che vinceva in Ferrari e mille altri sono gli esempi. Persino, per esempio, le procedure di partenza erano ereditate dalla partenza che i piloti facevano, con gli aerei uno accanto all’altro dall’altra parte della pista , e i piloti che correvano e salivano sui loro bolidi e uno dopo l’altro prendevano il volo.
E proprio come per gli aviatori i primi piloti d’auto erano spesso spensierati e ricchi giovani della ricca borghesia o della nobiltà che proprio come nel medioevo si trasformavano in cavalieri che si sfidavano a bordo di agglomerati di legno gomma e metallo in luogo dei cavalli e delle lancie dei loro ancestrali predecessori nei tornei.
Un mondo che non conosceva professionalità ma tanto coraggio e gusto della sfida. Niente allenamento o dieta come nei piloti di oggi ma , spesso, alcol fumo belle donne. Piloti in griglia che fanno l’ultimo tiro buttano il mozzicone e via verso la vita o la …morte.
Col passare degli anni però le potenze dei mezzi , l'importanza delle gare e , soprattutto il crescente interesse economico hanno cambiato questo mondo. La comparsa di piloti come Fangio ha introdotto nel mondo delle corse la figura del professionista a tutto tondo. Il coraggio e lo spirito d’avventura non erano più sufficienti.
E qua parte la considerazione TECNICA
Col passare degli anni la professionalità e la dedizione sono cresciuti in modo esponenziale nel modo d’essere dei piloti.
Certo fino agli anni 80 e 90 c’era sempre un fortissimo spirito goliardico e non solo che attraversava i box e le storie di alcol droga sesso non hanno mai abbandonato questo mondo di ragazzi che vivevano al limite consci che ogni gara avrebbe potuto essere l’ultima. E qua entra in ballo un altro importantissimo elemento. La sicurezza. E come spesso accade in questi casi a segnare un netto solco col passato c’è sempre un grande evento e spesso luttuoso. Nello specifico il primo maggio 1994. Autodromo di Imola. Muore Ayrton Senna lda Silva fino a quel momento considerato il vero e unico candidato a contendere a Fangio l’ambito fregio del miglior pilota di tutti i tempi. Non che sino a quel tragico giorno i piloti non avessero tentato a più riprese di portare avanti le loro istanze in merito di sicurezza, ma quello specifico evento ha dato una vera e propria svolta a processo che porterà alle attuali F1 che sono quanto di più sicuro possa scendere in pista nei vari week end. Oltre alla sicurezza , è quasi superfluo dirlo, nell’arco di questi 75 anni le auto hanno subito parecchie un’evoluzioni anzi rivoluzioni. Per molto tempo a farla da padrone sono state le potenze dei motori. Poi l’affidabilità dei componenti. Poi l’introduzione di nuovi materiali nuovi concetti progettuali. E poi, diciamo dalla Lotus 72 in poi, è entrata prepotentemente in campo sua maestà l’aereodinamica. Molti concetti sono, da quel di, passati dal mondo dell’aeronautica a quello dei motori, come a voler chiudere il cerchio della storia aperto nel 1914. In pratica dall'Aeronautica siamo partiti all’aeronautica siamo tornati. Anche le peculiarità le caratteristiche richieste all’arte del pilotaggio sono chiaramente cambiate negli anni. Il coraggio e il talento sono le uniche cose rimaste inalterate nel tempo ma la preparazione psicofisica e la capacità di concentrazione dentro e fuori dall’abitacolo sono cresciute al punto tale da diventare anche più importanti nelle prime due. E questo è stato coniugato a tutti i vari livelli di competizione dalla F1 giù, giù fino ai kart. In compenso per assurdo le auto sono diventate più guidabili. L’estremo sforzo fisico che dovevano profondere i piloti degli anni 70-80-90 che li vedeva impegnati a guidare belve senza nessuno ausilio elettronico , con il cambio a mano e quindi spesso a guidare con una mano, chiaramente senza servosterzo era a volte sovraumano. Su tutti sintomatico fu il GP del Brasile del 1991 quando Senna per gestire un cambio bloccato, scese vincente dalla sua McLaren quasi senza più riuscire a muovere un braccio. E mille sarebbero gli altri esempi. Tra l’altro la mancanza di aiuti rendeva quelle F1 difficili da gestire. Persino per i piloti delle formule minori. In quegli anni per un pilota di F2 o F3 salire su una F1 voleva dire a volte avere problemi persino a partire. Motori tanto scorbutici e comandi prettamente manuali facevano si che una volta riuscito a partire per un pilota di altre categorie riuscire a stare a 2-3 secondi dai colleghi di F1 era già considerato un successo. Ora questo problema non esiste sabato Ted ha concluso le prove a pochissimi millesimi da Hamilton,7 volte campione del mondo. Ma non è che lo sforzo sia minore anzi. È diverso. Ora ci sono servosterzo , cambio e frizione al volante e mille altri ausili. Il “problema” oggi è che le auto sono arrivate ad un livello di potenza e aderenza e di difficoltà di gestione, il volante ha più di 300 funzioni, che lo sforzo per un pilota di oggi ha due matrici. La prima la capacità del corpo, soprattutto il collo, a resistere per parecchi giri a innumerevoli sollecitazioni delle forze , centrifughe e centripete, e di inerzia che spesso passano i 4-5 G. E questo per 15-20 volte a giro, moltiplicato per 55-60 giri. La seconda è la capacità di concentrazione. Durante un GP il pilota deve mantenere un livello di concentrazione alevatissimo perché le situazioni le variabili da gestire si sono decuplicate negli anni. Come potete capire per guidare una F1 degli anni 70- 80-90 e una di oggi le capacità le caratteristiche del piloti sono diverse. Il vantaggio dei giovani piloti moderni rispetto ai loro “antenati” giovani piloti è che il processo di preparazione lo iniziano sin da giovani e quindi una volta arrivati in F1 la capacità di adattamento è quella che ha mostrato il buon Oliver Bearman a Jedda. Possiamo dire che se oggi è più difficile per alcuni aspetti per assurdo per altri è più facile.
Più facile , partire, guidare ma più difficile protrarre nel tempo il livello della prestazione, messa in crisi da forze G e livello di concentrazione richiesto. E tutto questo con un valore medio di circa 170 battiti cardiaci per tutte le due ore di gara.
Quindi per finire. Grande prestazione di Oliver Bearman , anzi grandissima ma probabilmente 40 anni fa non avrebbe potuto fare ciò che ha fatto domenica.
Chissà invece se uno dei piloti del passato sarebbe stato in grado di fare quello che ha fatto il ragazzino inglese domenica .
Chi lo sa?
Sono le famose domande dello sport che non avranno mai risposta , e probabilmente il bello sta proprio in questo.
Sono le cose incerte e indefinite che ci fanno sognare fantasticare…proprio come i ragazzi del 1914 quando vedevano i loro eroi combattere in cielo.
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